venerdì 9 agosto 2013

L'Algologia: una "rivoluzione culturale"

Il progetto formativo di educazione continua in Algologia, pur essendo rivolto a tutti i medici che nella loro quotidiana pratica clinica curano i pazienti con patologie dolorose croniche, si rivolge in maniera privilegiata agli specialisti in Anestesia poichė a tutt'oggi in Italia la Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione lo é anche in Terapia del Dolore. Purtroppo questa parte della specializzazione non ė insegnata in maniera adeguata ma rimane pur sempre nel codice genetico dello specialista in Anestesia. Occorre peró fare un pó di chiarezza in questa ampia materia. Innanzitutto, perché abbiamo preferito adoperare la dizione di Educazione Continua in Algologia e non in Terapia del dolore? Non é sicuramente per snobismo culturale né per una questione semantica di puristi legati all'etimologia greca di algologia, da "algos- dolore". Il motivo é molto piú sostanziale che formale. Il termine Terapia del dolore e Terapista del dolore lascia intendere che si tratti di una disciplina e di un medico che disinteressandosi della diagnosi del dolore sia particolarmente abile a curarlo indipendentemente dalle sue cause e questo grazie alle tecniche invasive antalgiche che ha imparato facendo l'Anestesista e che " sic et simpliciter" modifica leggermente nei confronti dei pazienti con dolore persistente e cronico.
Questo é ció che pensa e crede dei Terapisti del dolore la stragrande maggioranza dei pazienti nonché un'ottima percentuale dei medici. Tutto ciò, evidentemente, non nasce oggi e questa malintesa interpretazione sul ruolo degli Algologi ha radici antiche. Risale agli albori di questa Disciplina, negli anni '50, quando i medici che  visitavano pazienti con dolore cronico, solitamente i chirurghi generali o gli ortopedici, non sapendo come lenire il dolore dei pazienti la cui causa non era eliminabile chirurgicamente li inviavano ai loro colleghi Anestesisti, con i quali lavoravano quotidianamente in sala operatoria, chiedendogli di praticare a quei poveri sfortunati qualche blocco nervoso magari sostituendo l'anestetico locale con alcol. Non dimentichiamoci che erano gli anni in cui i farmaci per l'anestesia generale erano ancora pochi, rudimentali e con temibili effetti collaterali ed anche le attrezzature erano molto arcaiche e quindi l'anestesia loco regionale la faceva da padrone. Questo é stato il brodo primordiale nel quale si sono formati i nostri antenati Terapisti del dolore e quindi questo ruolo di esecutori di terapie decise da altri spiega il termine di Terapisti del dolore. La singolaritá di questa anomalia é ulteriormente dimostrata dal confronto con le altre discipline mediche, nessuna delle quali inizia con Terapia di...qualcosa.Non esiste, per esempio, il Terapista del cuore ma il cardiologo e non esiste il Terapista della pelle ma il dermatologo e cosí via a sottolineare che lo Specialista di una disciplina non é specialista solo nel curare le malattie tipiche della sua disciplina ma prima ancora deve essere capace di diagnosticarle poiché se una diagnosi senza la successiva terapia a volte puó sembrare un atto sterile, la terapia senza una precedente diagnosi é spesso inutile e pericolosa. Sembra incredibile, ma anche se sono passati svariati decenni questa impostazione culturale originaria si é  modificata di poco anche perché nell'opinione dei più il dolore continua a essere un sintomo protettivo che si distingue solo per intensità e durata. Quindi non va trattato se si immagina sia utile la sua presenza per diagnosticare o controllare l'evoluzione della patologia che lo determina e i rimedi atti a contrastarlo sono scelti solo in base alla sua "forza": analgesici blandi se é un dolore lieve o moderato e oppioidi se é un dolore intenso o insopportabile. Infine l'unica concessione ad un inquadramento più razionale viene fatto distinguendolo in acuto o cronico se dura meno o piú di 3 o 6 mesi. Peccato che la realtà non sia così semplice, che non esista il dolore acuto e cronico basato su un concetto cronologico, che il dolore non sempre sia un sintomo ma possa diventare esso stesso malattia e che solo un certo tipo di dolore abbia un significato protettivo ed invece nella maggior parte dei dolori persistenti la sua presenza sia inutile e dannosa. E peccato anche che la sua patogenesi sia complessa e necessiti una conoscenza approfondita dei suoi  intimi meccanismi molecolari per riuscire ad affrontarlo razionalmente ed efficacemente. Per questi motivi é ormai impossibile pensare che ogni medico che incontri nella sua quotidiana attivitá un paziente con patologia dolorosa cronica possa curarlo con la competenza richiesta. Occorre superare l'errata convinzione che il dolore sia un sintomo ubiquitario e che attraversando come un filo rosso tutta la patologia umana debba essere affrontato e trattato come se fosse sempre e soltanto un sintomo di qualche patologia. Il dolore acuto, sintomo utile, e quello persistente e cronico, malattia e non sintomo, sono due cose completamente diverse e forse l'equivoco nasce dal fatto che ambedue, il sintomo e la malattia, si chiamino ambedue alla stessa maniera: dolore. Ma il primo rappresenta la fisiologia del nostro organismo, la piú essenziale capacitá della nostra specie di difendere la propria presenza sulla Terra, insieme a quella di riprodursi, ed il secondo invece, la malattia, é il patologico ed inutile  tentativo di avvertire i centri sovraspinali sulla necessitá di allontanare  un imput algogeno cronico tipico delle malattie infiammatorie, degenerative e neoplastiche. Soltanto il primo, il sintomo, puó e deve essere curato da ogni medico che lo incontri sulla propria strada, purché a conoscenza comunque del fenomeno che sta affrontando. Il dolore-malattia al contrario deve essere innanzitutto diagnosticato e soltanto successivamente trattato. Ribaltando completamente l'attuale maniera di procedere nella quale i vari medici che visitano i pazienti con dolore cronico, cercano una causa del dolore tra le patologie di propria competenza e se non la trovano inviano il paziente al Terapista del dolore non per chiarire la diagnosi ma per applicare qualche blocco nervoso risolutivo, noi pensiamo che l'Algologo dovrebbe in prima battuta visitare il paziente con dolore cronico e dopo averlo diagnosticato lo potrebbe inviare allo Specialista piú adatto per curare un dolore la cui patogenesi é oramai chiarita. In quest'ottica non é essenziale che l'Algologo sia un Anestesista o altro specialista che "si occupa di dolore", anzi sarebbe auspicabile che si formasse una nuova figura professionale autonoma tante sono le nozioni da apprendere. Ovviamente sarebbe ingenuo pensare che i vari Specialisti che piú di altri incontrano quotidianamente nella loro attivitá clinica pazienti con dolore cronico li inviino di routine a un Anestesista/Algologo solo perché una qualche legge lo preveda. É necessario che ci si attrezzi per questa " rivoluzione culturale" e questa é per l'appunto la nostra missione. Offrire le basi culturali per la formazione di uno Specialista in Algologia.

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